Black Camera – Rolling Stones Italia
Alla parola “erbario” corrisponde la seguente definizione: “Nella parola erbario confluiscono due definizioni diverse, seppur storicamente e concettualmente legate tra loro: da una parte un compendio che descrive più o meno riccamente il regno vegetale (herbarium o hortus siccus); dall’altra, un edificio atto a ospitare una o più collezioni di campioni secchi (exsiccata).” Plantarium di Giovanni Cocco è sicuramente un erbario, ma anche qualcosa di più, molto di più, sia dal punto di vista artistico, ma anche e soprattutto storico. Nei dettagli di una calla, nella struttura corporea di un’agave, nei generosi petali di un Ibisco, Giovanni fa confluire anche la storia di un quartiere romano, Garbatella. Un quartiere popolare dalle lunghe vicissitudini storiche ed umane, di cui la parte verde simboleggia i trascorsi del nostro paese, ma anche una cosa che ad oggi si trova raramente: la cura per il bello degli spazi pubblici, anche se a pensarci sono i privati.
Plantarium è un omaggio al quartiere romano di Garbatella, per il centenario della sua costruzione. Cosa ti lega a questo quartiere?
Il lavoro nasce da una commissione di Francesco Zizola (10b Photography). Abitare il Paesaggio è il titolo della mostra che si è tenuta al 10B a cura di Sara Alberani: l’idea era quella di re-interpretare il quartiere in occasione del suo centenario. Ma Il 10b è anche uno dei luoghi centrali del mio percorso professionale. Quando mi sono trasferito a Roma, per anni ho lavorato nel laboratorio occupandomi di stampe – mentre di notte scattavo i miei primi lavori di ricerca personale (così è nato Burladies, 2008-2010). Gli incontri di via San Lorenzo da Brindisi mi hanno cambiato e formato, ecco perché sono legato visceralmente alla Garbatella!
Come la storia del quartiere si interseca con la sua parte botanica e perché hai voluto raccontarlo attraverso essa?
La Garbatella – che ha compiuto 100 anni il 20 Febbraio 2020 – è sviluppata in lotti, dove sorgono palazzetti di edilizia popolare collegati da cortili e giardini; punti di incontro per la popolazione residente con stenditoi pubblici, botteghe, cantine, sedie e muretti di pietra. La struttura architettonica del contesto urbano è basata sul modello inglese della Città Giardino, con spazi coltivabili per offrire ai primi residenti del quartiere, giunti anche dalle aree rurali intorno a Roma, una preziosa fonte di sussistenza: l’orto. Questi orti si sono trasformati nei decenni in stupendi giardini popolati soprattutto da esemplari esotici/tropicali – arrivati nel nostro paese negli anni del colonialismo italiano in Africa. Da qui la scelta di concentrarmi sulle piante: volevo scoprire le memorie del quartiere a partire dalla storia della sua terra.
I tuoi still life sono immortalati nel mentre riemergono da un abisso oscuro. Perché hai conferito al tuo lavoro questa componente decadente? Come la tua scelta stilistica è entrata a far parte del racconto?
La serie è composta da fotografie scattate di giorno. La luce del flash illumina e isola la pianta o il fiore – per mostrarne l’estetica e la potente carica vitale. Volevo anche sottolineare il frutto della cura continua e metodica degli abitanti – quando spesso in Italia “pubblico” è sinonimo di degrado e incuria. Ho fotografato un quartiere popolare che funziona e sopravvive nella conservazione della bellezza, contando soltanto sull’iniziativa privata autonoma e sulla cooperazione tra residenti.
Con l’isolamento fotografico del dettaglio hai sopraelevato la natura a icona sacra. Oltre alla specificità del racconto c’è un pensiero assoluto alla base del tuo progetto. Che volto daresti alla Natura?
Nelle metropoli contemporanee siamo costretti a guardare la natura da lontano, a immaginarla senza contatto. Consapevoli che presto scomparirà, inquinata dalle nostre vite. Ho ritratto le piante come fossero gli archetipi di una specie in estinzione. Un volto sublime e in pericolo.
Ci sono dei lavori passati o fotografi a cui ti sei ispirato per produrre Plantarium?
Porto sempre con me l’impronta degli autori che hanno formato la mia visione e che continuano ad influenzarmi. In questo caso però mi sono ispirato direttamente alla struttura degli Erbari e sopratutto avevo negli occhi le alghe marine immortalate dalla storica Anna Atkins a metà del XIX secolo – sospese come pianeti sullo sfondo blu delle stampe in cianotipia. Per questo motivo il titolo del lavoro è: Plantarium, piccolo atlante botanico della Garbatella.